Tutte le strade portano a Roma.
Vale anche per la cucina, che qui s’è edificata nel tempo grazie alla mescolanza delle tante genti che l’hanno eletta nel corso dei secoli a nuova patria: Abruzzo, Marche, Molise lasciano una impronta forte nella cucina, che si romanizza e si codifica in primi, secondi e contorni d’ordinanza. Per quanto riguarda i fritti e lo street food invece la mente non può che correre al Meridione: la pizza napoletana si fa romana, gli arancini siciliani si addolciscono e diventano supplì. Storie ordinarie di un gran crocevia di modi per riciclare gli avanzi e di un saper cucinare che in Italia viene da lontano. Così la Roma grassa, grossa, unta e papalina si fa democratica e accogliente per tutti i suoi avventori ed i supplì, per decenni figli di un ‘modo minore’ di mangiare, assurgono all’onor delle cronache: James Joyce nel 1904 è a Roma e come confiderà a Sibilla Aleramo alcuni anni dopo, nel retrogusto dei suoi ricordi appare il supplittaro in strada, armato del suo calderone fumante di olio e dell’immancabile ramina per pescare quelle polpette dorate. Un morso e mille emozioni da serbare per un futuro ritorno.

Sorpresa! Le origini del supplì ed un po’ di storia

Alcuni sostengono che il supplì nacque nel finire dell’800, quando il Papa aveva riparato a Gaeta e Roma era controllata dai francesi (la parola deriverebbe dal francese “surprise“), come soluzione per riciclare gli avanzi. Un risotto condito con animelle e rigaglie di pollo, appallottolato e fritto che comparve nel menu di una nota trattoria in via dei Condotti nel 1874. Una manciata di anni dopo e la famosa divulgatrice di cucina romana Ada Boni ne fornisce la ricetta nel suo libro del ’29, “La Cucina Romana“, dove s’usa un sorprendente femminile, la supplì, come ad avvalorare ancor più l’idea di sorpresa. Ma quale sorpresa visto che alcuni affermano che fino al 1900 non si ebbe traccia di mozzarella nel ripieno?

Sorpresa o meno, con quell’irresistibile filo di mozzarella che ricorda il telefono, il supplì mette tutti d’accordo. E pensare che c’è stato un periodo, attorno agli anni ’90 in cui rischiava di sparire dai menu. Quando il celebre scrittore di “cose romane” Livio Jannattoni ci restituisce la ricetta originale nel suo “La cucina romana e del Lazio” lo fa con deciso rammarico: trascorso inesorabilmente il tempo dei supplittari di strada, questa delizia va scomparendo dalle carte di trattorie, osterie e pizzerie della capitale. Resistono ancora splendidi forni e piccole friggitorie con l’odore d’unto a legar tra loro le piastrelle. Resiste nella memoria popolare, anche se le “rigàje” o “ragàje” sono sempre più sostituite da un più delicato ragù di manzo o di maiale.

Erano gli anni ’90 ed ancora non s’era diffuso il grande interesse per la gastronomia “di recupero”. Oggi s’è ingenerato il problema opposto: se siete a Roma e desiderate gustare un supplì non avrete certo difficoltà a trovarlo. Basta un bar con rivendita di pizza, un forno senza forno o un qualsiasi ristorante per ingannar turisti. In un baleno vi ritroverete tra le mani un freddo quanto inconsistente supplì, che non fila nè rilascia ad ogni morso il suo gusto. Domandate però ad un romano e fatevi indirizzare: di luoghi che servono il vero supplì bollente, croccante, filante e intento a fungere da telefono ce ne sono, basta saper dove cercare!

Supplì al telefono, in un noto ristorante di Trastevere
Supplì al telefono, in un noto ristorante di Trastevere – © Carlotta A. Buracchi

Tra Ada Boni e Giggi Fazi, la ricetta del “supplì ar telefano”

La ricetta di Ada Boni esaurirebbe da sola la narrazione ma se la uniamo con le varianti di Giggi Fazi, celebre cuoco della Dolce vita romana dei ’60, otteniamo lo specchio più fedele di ciò che deve – e non deve – essere un supplì ar telefono (quello che fila, per intendersi perchè altrimenti guai a chiamarlo supplì!):

Per Fazi tutto s’esaurisce in un’unica pentola: “anzitutto si tritano con cura cipolla, animelle e fegatini. Si aggiunge sale e si versa tutto in un tegame in cui c’è già dell’olio. Si avvia a fuoco lento, senza dimenticare di dare un’occhiata e di ‘smucinare’ ogni tanto (ovvero di mescolare, per chi non è pratico di romanità). Aggiungere il vino, facendolo in parte evaporare e buttare dentro anche il pomodoro. Un altro pizzico di sale, ancor meno di pepe, si copre di nuovo e si fa marciare a fuoco lento per una buona mezz’ora. Arriva poi il momento del riso, ben ‘capato’ ma non lavato. Lo si butta giù e si comincia subito a girare con un mestolo per non farlo attaccare.”

Per la Boni invece si procede separatamente: “per una ventina di supplì si cuociono circa 400 grammi di riso. Si usa il sugo in umido oppure, se manca, il sugo finto di odori e pomodoro. L’importante – per entrambi – è stare attenti a che il riso non scuocia. Una volta al dente il riso va tolto dal fuoco e condito con burro, parmigiano grattugiato ed un paio di uova intere, senza smettere mai di mescolare. Si versa quindi nel marmo di cucina o in piatti piani, allargandolo con una forchetta e lasciandolo freddare. Intanto la Boni consiglia di preparare a parte il ripieno: rigaglie di pollo, funghi secchi e carne in umido tritata a seconda della disponibilità. Le regaglie si cuociono da sole, con un po’ di strutto, cipolla e un po’ di sugo; i funghi secchi si fanno rivenire prima in acqua fredda poi si lavano più volte, si tritano e si aggiungono alle regaglie. Nel frattempo si preparano dei dadini di provatura romana o di mozzarella. Si preleva una buona cucchiata di riso freddo e si mette nel palmo della mano sinistra. Si inserisce un po’ di ripieno assieme ai dadini di provatura; si chiude dandogli la forma di grossa polpetta e si passa nell’uovo sbattuto, nel pangrattato e poi via a friggere: padella alta, olio bollente, pochi pezzi per volta.

Il segreto del supplì è duplice: da un lato la panatura che non deve essere eccessiva, dall’altro la frittura, che per esser ben fatta prevede olio bollente: una volta dorati si scolano i supplì dall’olio residuo aiutandosi con la carta paglia o con carta assorbente e si servono caldissimi. Se non è il primo, il secondo morso vi rivela la sorpresa: il supplì filerà in maniera irresistibile.
Se telefonando…

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Carlotta Andrea Buracchi Bresciani
Figlia di produttori di vino col pallino per la lettura (libri letti più di 3900!) ed accanita scrittrice. Mi occupo di grafica, content marketing e comunicazione sul web. Scrivo di cibo e turismo, curo il marketing per "Ultimo", l'ultimo vino di famiglia e... sogno di diventare giornalista enogastronomica!