É risaputo che il modo migliore per cogliere l’anima di un luogo è incontrarne le tradizioni enogastronomiche. Ed allora quale migliore occasione per immergersi nella schiva e riservata cultura mòchena di una cena al rifugio, dove l’odore di resina del legno alle pareti si mescola al profumo di crema e frutti di bosco, al gusto intenso della selvaggina, alla delicata consistenza di strozzapreti e canederli, irrorati di burro o immersi nel brodo, all’odore pungente dei distillati di erbe… Insomma una esperienza unica, che difficilmente riuscirò a trasmetterti in questo articolo: dovrai viverla di persona scegliendo la Valle dei Mòcheni per un weekend lontano dal frastuono della realtà.

Alloggiamo e sostiamo all’albergo ristorante Aquila Nera, la cui cucina pare faccia eco in tutta la valle: 30 anni di attività festeggiati da poco; sempre la stessa carta; menù fisso e ricette familiari: una formula di successo assicurato. Cavallo che vince, dopotutto, non si cambia!

Aquila Nera: una sosta all’insegna della tradizione gastronomica trentina

Una lunga tavolata imbandita in fondo alla sala, sedie in legno e tovaglie a quadri. Clima intimo e familiare. L’atmosfera perfetta per cenare in compagnia dei produttori di Grappa trentina. Alle pareti ricordi di caccia, ritratti e scene di vita familiare, il primo indizio per cogliere le caratteristiche della cucina che ci aspetta.

Ci accoglie sul tavolo una luganega stagionata, da affettare spessa e gustare con le dita. É uno dei tesori gastronomici delle valli attorno a Trento. La incontrerai col nome alternato di “luganega” o “lucanica“, in omaggio a quel modo di conservare le carni che portarono i soldati romani in dote dal meridione. Due le versioni che si confondono sui menù: la prima in insaccato da antipasto, stagionata e saporita per l’impasto che mescola carne magra e lardo di suino; l’altra più simile alle tradizionali salsicce, legata ogni 20 centimetri e bollita, servita assieme ad una generosa porzione di crauti. Apre la cena un brindisi al Marzemino, rosso fruttato dall’intenso profumo di viola. Il suo nome curioso deriva dal villaggio carinziano dal quale i soldati della Serenissima portarono le piantine in Trentino: Marzemin, appunto.

Di Canederli, Strangolapreti, zuppe d’orzo e della loro storia…

Iniziano ad arrivare generosi vassoi di canederli fumanti: quelli tradizionali in brodo e quelli asciutti, irrorati da un delicato sugo di cervo che ne ammorbidisce l’impasto. Quello dei canederli è un mondo che scopro più vasto di quanto pensassi, fatto di tradizioni familiari e sfumature, di tecniche, ricette, dosi ed ingredienti differenti. Solo assaporando questa versione rustica comprendo cosa voleva dire Beppe Bertagnolli al pranzo a La Cacciatora (che ti racconto qui): chiudo gli occhi e vedo la signora Maria che sbriciola con le mani il pane ammollato nel latte; lo mescola all’uovo, alle erbette, formaggio e pezzi di prosciutto con gesti vigorosi e braccia allenate.

I canederli fatti a mano non sono soffici, spumosi e soavi come quelli che ho assaporato a pranzo ma possiedono una propria poesia popolare: rustici, compatti ed insospettabilmente delicati. Dimentica quelli tristemente richiusi nelle bustine sottovuoto, indigesti anche dopo 30 minuti di cottura e vieni in Trentino ad assaporarli: li scoprirai leggeri nonostante l’impasto pensato specificatamente per affrontare i duri lavori e le gelate di montagna!

Gli strangolapreti trentini del Ristorante Aquila Nera a Kamaovrunt, nel cuore della Valle dei Mòcheni
Gli strangolapreti trentini del Ristorante Aquila Nera a Kamaovrunt, nel cuore della Valle dei Mòcheni – © Carlotta A. Buracchi

Mentre passo agli strangolapreti, scopro che in Trentino tradizione vuole che il canederlo galleggi in un brodo delicato di carne, mentre in Alto-Adige ne troverai più spesso di cotti al vapore. Sapevate poi che gli strangolapreti hanno preso questo nome nel periodo in cui Trento fu teatro del più grande summit di alti prelati e regnanti d’Europa? Tra chi sostiene in manierà più diplomatica che gli uomini di Chiesa fossero tanto golosi da farne indigestione e chi invece, non senza un pizzico di malizia, che il nome abbia a che fare con l’antipatia degli avventori, il piatto è rimasto lo stesso: soffici quenelles di pane raffermo, ricotta e spinaci immerse in un lago di burro fuso e generosamente spolverate di formaggio. Avevan ragione i preti: c’è da strozzarcisi davvero!

Ma la vera sorpresa di sapore arriva al termine dei primi: la zuppa d’orzo, che mi riporta alla mente i sapori antichi dell’infanzia. Qui in Trentino questo cereale povero è protagonista di una ben radicata tradizione: nell'”orzetto alla trentina” entrano carote, prezzemolo, sedano, porro, patate. Tutti tritati finissimi e spesso accompagnati da altrettanti fagiolini, spinaci, piselli e zucchine a seconda di come gira alla padrona di casa. Cotta a lungo con un osso di prosciutto a dargli sapore, ricorda le minestre della montagna Casentinese dove ho un pezzo di radici anche io; quando non s’era soliti scrivere le dosi ma i sapori riuscivano sempre gli stessi, generazione dopo generazione. Intensi, caldi, familiari come i nostri migliori ricordi.

Pancetta, Lucanica e crauti al Rifugio Aquila Nera
Pancetta, Lucanica e crauti al Rifugio Aquila Nera – © Carlotta A. Buracchi

Stinco, Coniglio, Lucanica, Crauti e… sua maestà il Cervo con polenta

Passiamo ai secondi tra una chiacchiera, un brindisi ed una domanda sulla grappa dopo l’altra: per finire le generose porzioni dell’Aquila Nera bisogna giustamente impegnarsi, specie in termini di convivialità! Sfilano in tavola lo Stinco al forno, sfrigolante e con quel colore ambrato che ne annuncia la cottura perfetta, il Coniglio, la Pancetta e la Lucanica con crauti, assai meno aciduli dei loro cugini tedeschi. Io attendo il Cervo, con la sfacciata curiosità di chi utilizza i sapori autoctoni per decodificare il carattere di un luogo: scopro uno spezzatino che a ragione è il vanto dell’Aquila Nera. Tenero come un burro, sapido e con quel piacevole retrogusto dolciastro che ne dimostra l’esecuzione perfetta, immerso nel delicato sughetto già dei canederli. É di certo lui a giocare la carta dell’eleganza sulla tavola, dopotutto la carne di cervo è forse la più insidiosa tra la selvaggina di montagna: un errore nella sua pulizia, conservazione o marinatura e se ne compromette irrimediabilmente il sapore. Sicuramente questo ha cotto a lungo, fiamma bassissima: dovrei chiederlo alla Signora Maria ma è troppo impegnata a portar pietanze sulla nostra tavola per esser disturbata. Affianco il cervo con una generosa dose di Polenta bramata ancora fumante ed un bicchiere di Teroldego Rotaliano: pace dei sensi.

La Treccia mòchena: storia e fortuna di un dolce inglobato dalla tradizione

Per finire una perla rara da trovare nella stessa Valle dei Mòcheni: la Treccia mòchena. A dispetto del nome non si tratta di un dolce della tradizione: fu creato negli anni ’90 da Sergio Osler, panettiere di Canezza che per primo sperimentò una soffice treccia di pasta lievitata ripiena di crema pasticciera e confettura di mirtilli. Delizia che fece la fortuna della panetteria di via Fontanelle, portata agli onori qui all’Aquila Nera. La si può ancora acquistare a Canezza, frazione di Pergine Valsugana, dove la panetteria è oggi completamente dedita alla produzione di questo dolce.

La Treccia mòchena, dolce di pasta lievitata ripieno di crema pasticcera e confettura di mirtilli, inventato negli anni '90 dal panettiere Osler
La Treccia mòchena, dolce di pasta lievitata ripieno di crema pasticcera e confettura di mirtilli, inventato negli anni ’90 dal panettiere Osler – © Carlotta A. Buracchi

Concludo la mia serata con un assaggio di distillati fatti in casa, quelli contenuti nei vasi della dispensa che solo a pensarci la mente s’inebria di odori pungenti, erbacei e misteriosi: verde brillante per il Pino Mugo e riflessi dorati per il Cirmolo. Una goccia di voluttà prima di coricarmi: mi aspetta il silenzio di una notte rischiarata dalla neve, con i profumi del bosco nelle narici e negli occhi le stelle, che qui sembrano più vicine.

[L’Albergo Ristorante Aquila Nera si trova in Località Kamaovrunt, Frassilongo Garait. Tel. +39 0461599090. Per conoscere più da vicino la cultura mòchena vi consiglio una visita all’Istituto Culturale Mòcheno – Bernstoler Kulturinstitut, www.bernstol.it. Informazioni anche al sito web che raccoglie le Pro Loco della Valle, www.valledeimocheni.it]
Nella prossima tappa ti porto a scoprire due Grappe uniche nel loro genere: Solera ed Estrema 50, le grappe trentine firmate Ferrari. Seguimi!

Questo mio reportage è stato realizzato a fronte del press tour organizzato dall’Istituto Tutela della Grappa del Trentino

Articolo precedenteUna ciaspolada nella Valle dei Mòcheni ed un assaggio dei suoi prodotti tipici
Articolo successivoUna pizza ad Arezzo? Da Al Foghèr: ingredienti scelti con cura per una pizzeria in costante evoluzione
Carlotta Andrea Buracchi Bresciani
Figlia di produttori di vino col pallino per la lettura (libri letti più di 3900!) ed accanita scrittrice. Mi occupo di grafica, content marketing e comunicazione sul web. Scrivo di cibo e turismo, curo il marketing per "Ultimo", l'ultimo vino di famiglia e... sogno di diventare giornalista enogastronomica!